La dipendenza affettiva è uno stato psico-patologico nel quale la relazione di coppia è condizione unica, indispensabile e necessaria per l’esistenza
Ricordate quanto detto sul manipolatore affettivo? Beh, sicuramente esistono donne che facilmente ne diventano prede. Stiamo parlando di dipendenza affettiva.
La dipendenza affettiva è uno stato psico-patologico nel quale la relazione di coppia è vissuta come condizione unica, indispensabile e necessaria per la propria esistenza: è la “conditio sine qua non” aldilà della quale non è possibile sopravvivere. Diventa la linfa vitale di cui quotidianamente nutrirsi.
Chi vive questo tipo di dipendenza attribuisce all’altro una importanza tale da annullare se stessi, non ascoltando i propri bisogni e le proprie necessità. Tutto questo per evitare di affrontare la paura più grande: l’abbandono e la rottura della relazione.
I sintomi della dipendenza affettiva sono i seguenti:
- terrore dell’abbandono e della separazione
- evidente mancanza di interesse per sé e per la propria vita
- paura di perdere la persona amata
- devozione estrema
- gelosia morbosa
- isolamento
- incapacità di tollerare la solitudine
- stato di allarme e di panico davanti alla minima contrarietà
- assenza totale di confini con il partner: la relazione è simbiosi e fusione
- paura di essere se stessi
- senso di colpa e rabbia
Le relazioni che instaurano queste persone non sono casuali, ma soddisfano il bisogno di avere a tutti i costi una relazione, quindi il luccicore delle false lusinghe mosse dall’altro funge da trappola che le induce ad intraprendere una nuova relazione. L’altro, persona forte e sicura di sé, arrogante e tronfio del suo enorme ego, funziona da specchietto per le allodole.
La dipendente affettiva pensa al brillante futuro di protezione che potrebbe avere con questa persona, che a sua volta si ingaggia in una relazione affettiva con questa tipologia di soggetto solo perché ha bisogno di subordinare qualcuno su cui esercitare la propria superiorità.
Sono dunque atteggiamenti e comportamenti che si incastrano perfettamente come la chiave alla serratura: ogni vittima esiste perchè esiste un carnefice e viceversa. Quindi, il manipolatore sceglierà una compagna sottomessa e insicura nella quale saprà trovare a poco a poco la zona vulnerabile che permetterà l’instaurarsi di un rapporto di dipendenza.
Una volta avvenuto l’aggancio si instaura un circolo vizioso in cui ognuno peggiora la condizione problematica dell’altro, in una spirale di dolore, umiliazione e sottomissione senza fine. Il narcisista, altero e spavaldo, aggancia con iniziali false lusinche l’insicura e fragile dipendente, per poi seviziarla e torturarla psicologicamente, aumentandone così l’insicurezza. Più poi la dipendente è insicura più usa la sottomissione per conquistare il suo carnefice ed evitare l’abbandono, costantemente minacciato da quest’ultimo per acquisire più potere nell’ambito della relazione. Questa è una spirale che rischia di essere senza fine (a meno che non intercorra una psicoterapia!).
Il partner della dipendente, quindi, sottolinea le sue fragilità sempre enfatizzandole, sul piano del fisico, del carattere, della bellezza, dell’intelligenza, etc…, operando un costante confronto con un’ ipotetica altra sempre migliore. Alla lunga questo atteggiamento genera nella dipendente uno stato di maggiore incertezza ed insicurezza, che condurrà a reazioni di gelosia, di paura, nonché a pensare che “sicuramente sceglierà un’altra meglio di me”.
Tutto ciò porta alla formazione di un circolo vizioso che si autoalimenta, con perdita di autostima e di autoefficacia, ansia ed allerta continua, terrore della perdita e dell’abbandono.
Le radici di questo disturbo sono ataviche e infantili, ferite mai guarite, basate sull’apprendimento di un rifiuto precoce legato alla propria inadeguatezza, e per questo si perpetuano nella relazione di coppia. La dipendente ama l’altro idealizzato, lo stesso amore che ha provato durante la propria infanzia per un genitore irraggiungibile, che lo ha abbandonato, dal quale si è sentito tradito. Per questo, la dipendenza si alimenta e si nutre del rifiuto, della svalutazione, dell’umiliazione, della sofferenza: non si tratta di provare piacere nel vivere tali difficoltà, ma di dare corpo al desiderio di essere in grado di cambiare l’altro, di convincerlo del proprio valore, riuscendo a farsi amare da chi ama solo se stesso. Amare un partner realmente affettuoso e gentile conduce altresì ad annoiarsi, mentre lo stare sulla corda, il rifiuto e la mancanza di certezza sono le molle che muovono il desiderio. Ovviamente si tratta di valutazioni errate che alimentano e mantengono il disturbo.
Questo comportamento è ulteriormente aggravato da attribuzioni di colpe che non si hanno: “io sbaglio e per questo lui si comporta in questo modo”, “se solo fossi meno gelosa tutto questo non succederebbe”, “se ha urlato e mi ha offeso così è perché io l’ho fatto innervosire, ho tirato la corda”.
La soluzione? Il percorso è doloroso, difficile e molto tortuoso, ma consiste nel vedere l’altro per quello che è, ovvero un manipolatore affettivo. Solo così è possibile uscire dalla trappola e liberarsi della dipendenza costruendo relazioni più sane.
Amare se stessi e a mettersi al centro della propria vita è la strada da intraprendere per passare dalla dipendenza all’indipendenza, ovvero concedersi la possibilità di farsi amare in modo sano e diventare sereni.
Se tutto questo non è possibile da soli, è opportuno rivolgersi ad un terapeuta che aiuti ad uscire da questa dolorosa condizione.
Vi aspetto! Un caro saluto dalla vostra dr.ssa Simona Colombi