Un uomo che ci mena non ci ama. Mettiamocelo in testa. Salviamolo nell’hard disk. Vogliamo credere che ci ami? Bene. Allora ci ama MALE.
Non è questo l’amore.
Un uomo che ci picchia è uno stronzo. Sempre…

Oggi è la giornata nazionale di lotta alla violenza sulle donne. Sto guardando lo speciale su Sara Di Pietrantonio, studentessa di 22 anni, strangolata ed incendiata la notte tra il 28 ed il 29 maggio dell’anno scorso dall’ex fidanzato.
Ancora Roma, il 20 aprile dello stesso anno, Assunta Finizio viene uccisa al bar con quattro colpi di pistola. Il marito non sopportava di essere stato lasciato.
San Martino in Argine, Molinella, Bologna, 13 aprile 2016: Liliana Bartolini, 51 anni, è accoltellata dal coniuge. L’uomo aveva una relazione con un’altra donna.

Attualmente, anno 2017, sono già 114 i casi di femminicidio.
E’ detto ‘femminicidio’, ma a me noi questo termine non piace, perchè è come se il ‘genere’, femmina, venisse prima dell’essere, una persona. In ogni caso si tratta di omicidi segnati da particolari costanti: solitamente compiuti dal coniuge o da un compagno, o da un ex, non sono quasi mai episodi improvvisi, ma arrivano alla fine di una serie di violenze fisiche o psicologiche, talvolta anche denunciate; nonostante la ferocia, gli assassini erano considerati spesso ‘normali’ dai conoscenti, dei “bravi ragazzi”.

La serie di tragedie, di cui abbiamo accennato appena una parte solo irrisoria, è spaventosa, tanto da generare un più che giustificato allarme. E tuttavia, stando alle statistiche, i femminicidi sono negli ultimi dieci anni in Italia in numero pressoché costante: una tabella del 2014 dell’Istat mostra un andamento altalentnate del fenomeno, e persino una lieve diminuzione: da un tasso dello 0,6 ogni 100 mila donne del 2004 al poco più dello 0,4 nel 2014. Anno in cui i femminicidi sono stati 136. I numeri di quest’anno, almeno fino ad oggi, sono dunque dentro una tragica, costante media.

Qualcosa però è variato negli ultimi vent’anni. Gli omicidi di uomini, messi in atto prevalentemente dalla criminalità organizzata, sono notevolmente diminuiti, all’interno di un forte calo della cifra globale di questi reati, che dai 1916 del 1991 sono passati ai 468 del 2014.
I femminicidi invece, come evidenzia l’Istat, all’interno del totale degli omicidi commessi, sono cresciuti: negli anni 90 erano un decimo degli omicidi totali, oggi ne costituiscono ben un terzo.
Sui 468 omicidi del 2014 i femminicidi sono stati 136; nel 2015 sono stati 128. Nel 2016 116. Non un aumento quindi, ma un’ atroce ‘normalità’. Secondo il Bes, il rapporto ‘Benessere equo e sostenibile’ dell’Istat del 2015, negli ultimi anni si registra inoltre un generale miglioramento nei numeri relativi alla violenza sulle donne: in calo le violenze domestiche meno gravi, più denunce e più richieste di aiuto ai centri antiviolenza, oltre ad una percezione crescente della violenza domestica sulle donne come reato. Tuttavia ciò che resta sostanzialmente inalterato, secondo il Bes, è la cifra degli episodi drammatici: risultano in aumento le donne che hanno subito percosse anche molto gravi, o temuto per la propria vita. Non un picco, ma una sorta di ‘zoccolo duro’ di violenza anche letale sulle donne, che, a differenza degli uomini, sono per lo più vittime di persone conosciute e amate, dentro le mura di casa. È questo il dato sconvolgente del fenomeno: è il marito, il padre dei figli, il fidanzato, quello che può arrivare a uccidere.
E non in un raptus, come ho letto e spesso sentito dire in TV, ma frequentemente al culmine di una serie di minacce, gelosie ossessive, maltrattamenti o percosse fino a quel momento tollerati. Perché? Spesso, per amore: perché quella donna ama ancora quell’uomo, perché spera che le cose migliorino, perché non vuole lasciarlo, o per il bene dei figli, che pure stanno a guardare. Oppure perchè lo vuole cambiare, perchè cullandosi in questo pensiero si sente speciale, diversa e megliore rispetto alle altra.

Al passo della denuncia molte donne arrivano solo dopo anni, per paura che la scelta renda più aggressivo il partner. Ma cosa scatena davvero la violenza omicida? Spesso lo dicono gli stessi assassini: “Mi voleva lasciare, si voleva rifare una vita, se ne voleva andare di casa”, o simili.

Quando, dopo anni di sofferenze ed abusi atroci, una donna si ribella verso un compagno violento, allora è il momento critico: l’idea dell’abbandono può accecare di furia e disperazione il partner. Quell’uomo che in molti, amici, vicini, parenti, riconoscono come “un buon padre, un lavoratore, uno che non farebbe mai del male ai figli ed alla moglie” etc… .
Normale?
Lo psichiatra Eugenio Borgna a tal proposito sottolinea: «La follia non ha quasi mai a che fare con questi episodi». Ma, strangolare la madre dei tuoi figli, dare fuoco a una fidanzata, come è possibile che sia opera di persone senza disturbi di sorta? Che cosa spiega una simile ferocia, semmai si possa trovare una spiegazione sufficiente?
Borgna prosegue: “Innanzitutto ricordiamoci che la violenza è nel nostro Dna. La violenza fa parte della condizione umana. Oggi, dentro a una perdita comune di valori e una de-spiritualizzazione della vita, si può arrivare più facilmente a una reificazione dell’altro: a guardarlo come una cosa e non una persona, una cosa magari da comprare o comunque da possedere, anche con la forza. Questo primo impulso ne genera altri, nella scia della disumanizzazione del prossimo”.

Ma perché allora sono gli uomini a uccidere le donne, e più difficilmente il contrario? “Che la violenza e la aggressività appartengano più alla natura degli uomini che delle donne mi sembra difficilmente smentibile. Certo anche la donna delinque, ma raramente arriva alla completa disumanizzazione dell’altro, non lo degrada a cosa, e resta comunque frequentemente in lei un filo di nostalgia dell’umano”.
Cosa accade nelle famiglie in cui una donna viene uccisa da un uomo che ha amato? “C’è una violenza che si crea di giorno in giorno, all’inizio magari psicologica, tollerata da donne che la scambiano per amore, o che cercano di tutelare la famiglia e la maternità. Se poi un giorno in seguito a una violenza fisica eccessiva la donna di ribella, l’uomo si sente minacciato dall’abbandono, e può distruggere l’oggetto che sfugge dalle sue mani, come un bambino distrugge un giocattolo che si è rotto. In sostanza si uccide la moglie, così come uno che sorprenda un ladro in casa crede di essere in diritto di ammazzarlo. Sono istinti arcaici, che riemergono nella desertificazione dei valori. Non chiamiamola pazzia però: è malvagità”. Un male morale che può sfociare nella disperazione assoluta, quando l’assassino uccide i figli, e poi anche se stesso.

Dunque, se anche le statistiche non rilevano sostanziali aumenti di femminicidi, non è possibile stare tranquilli. E lo stesso angoscioso e inquietante allarme diffuso dai media ha almeno una importante utilità: suggerire alle donne che tollerare violenze ‘minori’ può essere pericoloso, che la situazione può peggiorare, che occorre parlare, denunciare e chiedere aiuto.
L’allarme mediatico può far capire alle donne, soprattutto alle più giovani, che la possessività e la gelosia ossessiva di un ragazzo non sono, come magari credono, ‘amore’, ma segnali di qualcosa che non va, di uno sguardo su di loro segretamente segnato da un oscuro istinto di possesso, che può sconfinare in brutale violenza. Questo ci tengo a sottolinearlo con estrema enfasi, da donna prima, e da psicologa poi: la gelosia ossessiva di un ragazzo non è espressione di un maggiore interesse, al contrario; essa segnale piuttosto una pericola insicurezza, una fragilità che diventa la base di paure incontrollabili e rischia di dare vita una letale spirale di violenza. Come ha detto Luciana Letizzetto.

“Ragazze un uomo che ci ama non ci mena”, esatto: l’amore non picchia, non fa male, ed il possesso sordo così come la gelosia accecante non sono amore, questo mettiamocelo bene in testa. L’amore è altro. Ed un’alta cosa è importante avere chiara: se un uomo è violento può cambiare solo a patto che con l’aiuto di professionisti.
Un rapporto di coppia sano è basato sulla sostanziale parità di ruolo, sulla condivisone, sull’interscambio. Nessuno dei due può, di fatto, salvare l’altro.
L’ultima illusione da sfatare: se un uomo è violento, ripeto, può cambiare a patto che si lasci aiutare, nessuna donna è “speciale” più delle altre a tal punto da fare il miracolo.

A te che leggi, donna, amica, ti dico da donna prima e da psicologa poi: se ti senti insicura, fragile, se senti precaria la tua autostima, questo è il modo più sbagliato di sentirti speciale. Una storia con un uomo violento ti spremerà come un limone, ti succhierà fino all’ultima goccia di energia. Si perchè la violenza psicologica, che viene prima di quella fisica, e che ne anzi ne costituisce l’immancabile e necessario fondamento, è molto più sadica e impietosa.
Molto presto, molto prima che tu abbia il tempo di accorgertene,  lui ti convincerà di non valere nulla, di essere nulla senza di lui, ti farà dubitare di essere in grado persino di farti un caffè. Ti sentirai uno zero assoluto, e sarai morta dentro prima che lui ti uccida: ti porterà via fino all’ultimo afflato, all’ultimo anelito di vita, ti porterà via il respiro prima che tu arrivi al tuo ultimo alito di vita.

E come ha detto la Littizzetto: di vita ce ne è una, non buttiamola via.
Parlare dunque, denunciare, e capire, con la testa, ma soprattuto con il cuore, per salvarsi, prima che, come Sara e tante altre, sia troppo tardi. Capire anche da parte dei parenti edamici, che spesso sanno del deteriorarsi delle situazioni familiari. Non follia, non imprevedibile e subitaneo raptus. Certe tragedie si possono intravedere, mentre maturano. Forse, alcune almeno, si potrebbero e si sarebbero potute evitare.